Cosa importa di Assad

Un fantasma del passato

Anche le più spaventose tragedie non riescono a risparmiarsi toni farseschi. Sentire il presidente Assad belare come un agnellino di essere pronto a farsi da parte se questo consentisse una soluzione nella crisi siriana è quasi commovente. Ma davvero c’è qualcuno a Washington e a Londra che ritiene oramai Assad un problema per la Siria? La Siria di Assad non esiste più da tre anni e la possibilità che domani esista una Siria unita come l’abbiamo conosciuta sono inesistenti che Assad rimanga o meno. Innanzitutto non c’è più un esercito nazionale né c’è la possibilità di ricostruirlo a meno che si rifacciano tornare indietro tutti i migranti che sono approdati in Europa negli ultimi mesi del conflitto. Perché i siriani rimasti si riconoscono nello Stato islamico, o l’avversano con tutte le loro forze, o combattono semplicemente per ritagliarsi una loro enclave nazionale a misura dell’etnia che rappresentano, curda o drusa che sia. Che sciiti e sunniti possano ritrovare uno stato comune possiamo già escluderlo e bisognerà pensare alle formule della loro separazione. Se poi gli sciiti si volessero tenere Assad a questo punto delle cose, si potrebbe anche dire, chi se ne importa. Ci sono i russi, i pasdaran e gli hezbollah che difendono il loro alleato, è vero, ma questa partita, su questo ha ragione Obama, l’hanno persa, evidentemente tutte e tre le nazioni impegnate possono solo ottenere che una regione a loro vicina e con un funzione geostrategica fondamentale, passi sotto il controllo di un avversario feroce. Per questo Putin è arrivato in forze a Damasco, per non vederla cadere, non per riconquistare la Siria per il suo protetto, sono due cose piuttosto diverse che americani ed inglesi farebbero bene a capire. Abbandonare Damasco ai ribelli non sarebbe una disfatta come quella dell’America che abbandonò Saigon alle truppe del Vietnam del nord. C’erano colloqui di pace da anni e soprattutto si sapeva bene come il nuovo Vietnam sarebbe stato conteso fra le pretese cinesi e l’influenza russa, in modo tale che il mondo comunista non sarebbe stato capace di trovare un’unità letale da rivolgere contro l’occidente. Gli americani allora persero la partita in Indocina non la guerra non con il mondo comunista che si scoperse diviso. In Siria rischiamo tutti di perdere la guerra con l’Isis e l’America si preoccupa del destino di Assad che è solo più un fantasma del passato. Apriamo gli occhi e guardiamo il presente.

Roma, 5 ottobre 2015